mercoledì 30 settembre 2009

al massimo ossessiva-non certo paranoica





C’è una certa certosina pazienza nel rituale che mi si impone come emergenza psichica e traccia pragmatica, ogni volta decida di comprare un libro. Successione di azioni che porterà un numero ics di pagine rilegate, dalla probabilità di essere di chiunque, ad appartenermi. Divenire mie. Mie.
Fase A. Prima di tutto la libreria, perché, si può immaginare, non è certo la prima che incontro per la mia strada. A Bologna è la Feltrinelli in piazza Ravegnana, labirintica struttura in bianco sporco con finto parquet sobbalzante qualche secondo in differita all’incedere del mio peso. Sembra quasi un giocattolo di cartaculo, sempre in procinto di accartocciarsi su sé stessa, ma con la pretesa di grande e funzionante struttura. Ha addosso un senso di decadenza mascherata che mi fa sentire a casa. Vi si accede da quasi ogni sezione, ma io rigorosamente lo faccio dal reparto narrativa. Un occhio alle offerte, al banchetto della “Feltrinelli consiglia”, passi laterali sincopati, ma in moviola, parallelamente agli scaffali in ordine alfabetico. Obiettivo: uscire con almeno tre libri
Alla fine della prima circonvoluzione la cassaannessaaduscita è a due passi sulla destra, le novità in front off me. DESTRA DESTRA-SINISTRA SINISTRA-AVANTI-INDIETRO-AVANTI AVANTI AVANTI- ma non è ancora il loro momento. Prima giro moderatamente interessato agli altri reparti. ATTENZIONE: se in questa seconda fase si dovesse trovare un altro libro interessante, si impone inversione ad U verso la narrativa per posare uno dei tre volumi che già stringo forte nelle mie mani. –AMBIMBO’ CHI STA SOTTO NON LO SO’-
Fila alla cassa con scannerizzazione della cancelleria ed agenderia ,strategicamente impilate nel percorso obbligatorio verso l’esterno- ADORO QUESTA STRATEGIA DI VENDITA-afferro il programma mensile degli eventi, autobus, tre fermate,casa.
Fase B. Tolte le scarpe ai piedi, seduta sulla destra del divano, come al mio solito, appoggio il pacchetto al mio fianco. Estraggo il primo libro. Sulla facciata interna sulla quale è riportato il titolo, con eventuale dedica dell’autore, scrivo data e nome&cognome, rigorosamente con pilot ad inchiostro liquido nero , punta o,5.
Inizia la fase dello studio dell’edizione che sta per venire in mio possesso, mi adatto a trovare accogliente l’impaginazione.
Per perfezionare l’operazione, sfoglio il libro velocemente annusandone l’odore, cerco l’indice e memorizzo i titoli dei capitoli ed il numero dei suddetti. Analizzo poi l’impaginatura: i margini, l’interlinea,la lunghezza dei capitoli, cerco di trovare un ordine nel caos. Parlo di cose tipo: i capitoli sono più corti all’inizio ed alla fine, allungandosi vistosamente nella parte centrale;non superano mai le 15 facciate;l’autore ama i sottoparagrafi, riducendo il numero di capitoli ad una manciata di dita. Questo perché quando inizio a leggere non sopporto lasciare i capitoli a metà e devo essere pronta ad affrontarli nella loro interezza.
Per concludere il rituale giro le pagine più lentamente,anche leggendo qualche frase ogni tanto e appongo una piccola piega all’angolo basso di ogni fine capitolo.
Sì, sono fissata con i capitoli.
E’ come se la fine del libro la vedessi troppo lontana e necessitassi di fermate intermedie.
Annuncio anche , allo scopo di allontanare definitivamente le simpatie dei fanatici dei libri come oggetti sacri, da conservare intatti, come usciti dalla copisteria, che uso sottolineare le frasi che mi colpiscono ,che sono indizi del mio stato emotivo mentre leggo quel libro, in quel momento storico della mia vita.
Io credo, io ci credo che alcuni libri sincronizzati a momenti hanno la possibilità di incidere nella vita reale, di imprimersi come pietre miliari. Ma bisogna dargli la possibilità di farlo. Io non voglio che siano libri qualunque, capitati nelle mie mani per caso ed usciti nella stessa maniera. Necessito viverli e che mi vivano,che facciano parte del mio quotidiano. Se un libro mi accompagna nelle mie giornate mi piace che abbia addosso le mie impronte digitali. Voglio che si sporchi e si consumi, come ogni altra cosa che vive. Di sabbia se vado al mare, che rimanga un ago di pino incastrato tra le pagine se siamo al parco, siamo io e lui. A volte ricordo i miei stati d’animo ripensando ai libri letti , leggo una data di un libro vecchio e affiorano ricordi, trovo le frasi sottolineate e compaiono nuovamente le emozioni provate.
I libri che ho letto sono miei, sono miei, sono miei,sono miei, ,sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, sono miei, SONO MIEI, SONO IO.
Per essere del tutto sincera io non sopporto proprio i puristi delle pagine stampate, non concepisco il neutro che vogliono imprimere alle emozioni contenute nelle parole, non capisco perché non dovrei apporre un aggettivo possessivo ad un libro che mi appartiene, dal momento che abbiamo condiviso tanta parte del mio essere.
E tutto questo ,per quanto noioso e pedante vi possa essere sembrato, è la parte iniziale che mi porterà ad inglobare nel mio modo di percepire tutto quello che ogni libro mi vorrà regalare.
Finché ci saranno libri, finchè sarò in grado di leggerli.

venerdì 25 settembre 2009

out of order



Credevo di avere più tempo,ed invece sono già sorpassata.
Mi siedo un attimo,ne ho bisogno.Ma queste cose non capitano a chi può guardare indietro alla sua vita,convinto di aver vissuto più di quel che vivrà?
In mattinata ho scoperto che i miei occhiali da vista non si possono più aggiustare, non li fanno più, non sono previsti pezzi di ricambio-da anni,signorina, sarà ora di buttarli!-e che nessuno è capace di dirmi quali esami mi abbonano,la mia laurea risale a due riforme fa e tutto è cambiato senza adeguati termini di paragone-tra qualche mese,riunitasi la commissione, le sapremo dire qualcosina di più-eccerto-
non oso immaginare come potrà evolversi il pomeriggio

giovedì 24 settembre 2009

Qui ed ora, sembra sempre oggi


Passai accanto a 200 persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.
(Compagno di sbronze,Una pioggia di donne, Charles Bukowski)

Strano stato di attesa inquieta. Sospesa nel ritmo circadiano e funambola tra scontri da evitare, tra impegni stipati per riempire le giornate, quasi indifferente, in realtà, alle cose che accadono, a quelle che io stessa mi sono cercata. Uso quasi tutta la mia energia mentale per tenere aperti gli occhi, per trattenere i pensieri che vorrebbero allontanarsi a cercare gli assenti. Le ore scivolano le une sulle altre ed ogni momento che vivo tendo verso il prossimo come se dovesse accadere.
Non scherzo. Non esagero. Sono dannatamente seria quando dico questo. E’ una sensazione terrificante di caduta libera, cercare di sopravvivere ogni istante per godere del prossimo,come se il successivo avesse promesso un fremito di emozione. E poi, quando questo arriva, trovarsi delusa dal mio stesso meccanismo mentale in un piatto emotivo che è puro tormento .
Rimango convinta, mi si tacci pure di presunzione, che meritavo di meglio, che sarebbe stato equo e solidale concedermi un qualcosina di più.

giovedì 17 settembre 2009

fai la nanna coscine di pollo

(che se andavo a letto forse era meglio)




La solitudine è per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare è spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole.
(Carl Gustav Jung)


Con profonda e logica lucidità posso riconoscere questo come uno di quei momenti
in cui molte persone sfoglierebbero la rubrica del cellulare per scavare un numero ,
che in una sera qualunque, diciamo,solo per esempio ,questa,
si possa chiamare sperando di trovare ancora la porta aperta
[tutti noi additiamo a stronzo quello che ci ha travolto nello squallido gioco, scordandoci facilmente delle attenuanti che ci siamo dati quando tramutammo il vuoto in mancanza ]
ma,ecco, io ho cambiato operatore troppe volte e cancellato i contatti superflui
proprio per evitare di cadere in queste trappole apparentemente innocue,
che invece calamitano il susseguirsi di eventi nel precipitoso vortice di tristezze, malinconie e guai
in cui ci si caccia per riempire un attimo che pare eterno
e così sono ferma qui,esattamente qui ,
a guardare un punto nel vuoto
e vedere invece davanti agli occhi un improbabile uditore sintonizzato sulle mie frequenze
[sono una piccola emittente laica,faccio poco rumore e non sporco troppo]
sotto una copertina di pile a ricordarmi il secolo cui appartengo
ed una sigaretta apparentemente dimenticata tra i polpastrelli ossuti e vitrei
ad ingiallirmi il contorno unghie ,
consapevole che quando penso troppo gli occhi mi si ingrandiscono ad occupare più dei trequarti facciali
e la pelle già bianca assume una consistenza di trasparenza,
mi accartoccio su me stessa come un mucchietto di ossa,
le occhiaie cercano di nascondersi tra le orbite oculari, infossandosi,
[tanto che se un seguace TimBurtiano mi stesse guardando ora, dubito potrebbe resistere al mio fascino decadente]
e mi assale imponente il pensiero che mentre cerco di transumare l’irrequietezza in calma,
sto vivendo la definizione di una perfetta solitudine.

venerdì 11 settembre 2009

PerplessaMente

-NON SOLO FOTO DA BAMBOLINA-




martedì 8 settembre 2009

Sono pensiero e sono come tu mi vuoi

a tutti quelli che non hanno saputo vedere, non hanno voluto sentire

Tremolando come una fiammella al soffio ed infrangendosi sugli argini di questi faraglioni delle Haran,le idee mi si sgretolano in punti. Sospetto che a guardarle dal basso si potrebbero ricostruire costellazioni,trovandone le ragioni ed il senso,congiungendole in linee e figure ordinate. Ma questo non è dato farlo a me,io che ne sono genitrice e figlia, impermeata delle medesime , fino a fonderle e cullarle.
Molti già provarono a ridurmi a solo pensiero,relegandomi nei pertugi bui ad attendere che la schiena che si allontana si riaffacci di petto, diario segreto di una vita condivisa con altri e dettata a me, coscienza e desiderio di stabilità di chi viaggia e vuol essere certo di poter fare ritorno. Io, le pantofole calde, la lieta certezza dell’ ascolto di chi è trascinato nel vortice del nuovo possibile,l’attesa che placa le altrui paure dell’ignoto.
Eppur anche di materia sono fatta io. Urla ed impreca per poter lei pure toccare le cose che furon costruite, guardare le fiabe che vissero, tenersi le mani di fronte al nero, ridere del cloro negli occhi ed annusare della pelle la consistenza. Manco di quell’assieme che si trasforma in logica e grammatica quando sono i discorsi a congiungere gli esseri,di quell’emozione che diventa bellezza e ricercatezza della parola in un brano di prosa in cui sono l’antagonista.
[Non mi fido delle parole, non è necessaria la verità per costruire un buon sillogismo, di lettere in successione sensata sono fatte le bugie]
Io che anche quando ritaglio figure retoriche uso gli oggetti come astrazione di metafore, che chiamo le mani intrecci di falangi e gli occhi magnetismo terrestre, divento pulpito e platea delle glorie altrui e rileggo le righe per ricostruire i fatti che non m’è stato concesso convivere.
Perché lontano è il primo passo verso la perdita dei dati,Memento implacabile , di carne ed ossa è il tempo che guarda al domani- Io ferma qui sul ciglio della strada sarò sovrascritta dallo scorrere degli accadimenti, autostoppista dal pollice verso , lascio che mi assalga il toro oggi, nell’arena deserta, perché l’immaginario comune della bestia non ha bisogno di spiegazioni e ricopre la vostra pelle di sudore come emozione viva, non come novella. Se potessi spiegare le sbarre, giungere a farvi percepire il dolore del farsi sottile per poterle attraversare,mentre le costole si piegano per risparmiare centimetri, della mente altrui sono prigioniera, dei bisogni non miei, sono la larga spalla che accoglie le suppliche. Se potessi descrivere l’amara tristezza del veder orecchie incollate al prossimo grido, mentre affamata invoco che ora mi si dia nutrimento. Oh mia povera, povera me, tenuta nascosta nelle segrete delle apparenze, divisa dal mondo da pietre di egoismi, la carne straziata dagli altrui punti di vista ed umiliata dalle dimenticanze ,dai discernimenti e dalle vite così distanti da questo luogo in cui loro stessi mi hanno rinchiusa.
Questa notte lunga,come le ombre scagliate al suolo dal basso lume, porta con sé le verità che non so spiegare e che nessuno ha realmente intenzione di vedere. Dal lucernacolo filtreranno ,con il giorno, le voci di chi davvero vive ed io mi mischierò a loro, perché soli si può essere in questa stanza quanto tra i piedi danzanti di chi ha una meta. Sorridendo mi incamminerò verso un nuovo porto, dove altri carcerieri mi aspetteranno per riempirmi ancora, stiparmi dentro ,spingermi sotto.
Domani si parte, ma questa volta, per viaggiare leggera, lascerò a casa il superfluo:orecchie, occhi, naso,mani e bocca.

=/\=

[...]
e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà
si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore
il lamento di un cane abbattutto
da un'ombra di passo
si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa
uno scoppio di sangue
un'assenza apparecchiata per cena
[...]
(De Andrè,Disamistade)


Ho la tua mancanza cucita addosso.