venerdì 17 ottobre 2008

domenica 12 ottobre 2008

venerdì 10 ottobre 2008

nascosto in un silenzio, il dolore parlò

La cosa peggiore è non sapere cosa pensare. Il fiore e la colazione di quel martedì mattina e poi il silenzio. Mi trovo spesso a sentenziare che se avessi saputo che era l’ultima possibilità di assaporarlo, magari lo avrei osservato meglio. Mi sarei sporta per toccarlo un’ultima volta, per baciarlo. Sogno un’ altra notte insonne passata a guardarlo respirare mentre lotta con i suoi tanti incubi, a contargli le lentiggini per essere certa del numero esatto in modo definitivo. Ma io prima del primo caffè non capisco un gran ché. Ma io alle brutte notizie reagisco con il freddo glaciale, sono fatta così. Davanti a me ,sopravvissuto all’ennesimo tentativo più o meno conscio di suicidarsi, trovato per caso sul pavimento di una casa persa chissà dove, accasciato nel suo vomito, bello e distrutto, seduto a bere un caffè ed io mi continuavo a chiedere chi mi avrebbe mai avvisato se non fosse stato salvato, se non avesse potuto portarmi lui quella margheritona gialla e i tre cornetti con cappuccino. E non ho neppure detto quanto ero felice che fosse lì con me. Mi stava prendendo in giro come al solito perché appena sveglia ho la faccia gonfia e non ho fatto caso all’importantissimo fatto che aveva lasciato il salone per salire un attimo e qualcosa di più da me, dalla sua scema. Eppure lo so che non lo fa mai.
Adesso io sono consapevole che dovrei essere arrabbiata perché le persone non si lasciano così, nel silenzio e senza spiegazioni, che dovrei provare sollievo perché è uscita dalla mia vita la persona meno affidabile che abbia mai conosciuto e forse un giorno di questi, quando avrò affondato completamente la speranza di un suo improvviso cambio di marcia, di un nuovo mattino e un altro sorriso da bulletto di periferia, arriverà lo stato d’animo più consono alla situazione. Ora guardo quella stupida strada che ci divide e dalle 9.30 am alle 19.00 pm, il mio viso punta verso il luogo dove lui sta lavorando dal terzo piano della mia cuccia. Appena cinquanta passi da casa mia.Non attraverserò il semaforo pedonale, non mi sporgerò a fare domande. Queste cose le fa la donna che non voglio essere. Per quanto ad intervalli irregolari nell’arco delle ventiquattro ore ho la netta impressione di impazzire, sento le mura ristringersi e togliermi il fiato, io non supplicherò le bugie che vengono elargite come spiegazione, non lo obbligherò a volermi ancora.
E ad ogni fine giornata, quando lascia la mia zona o solo immagino che lo faccia e si avvia verso l’altro capo della città, dove continua la sua vita nascosto nell’ombra, io mi fermo un istante in silenzio, inspiro lentamente ed espiro dal profondo, portando il respiro nella pancia e lascio fluire il pensiero che mi ha tenuto in fibrillazione anche quel giorno: non è tornato.