Dallo spazio atemporale dei ricordi si destano ogni tanto due facce senza volto a ripercorrere in loop un piccolo strappo dell’aorta.
La distanza di due esseri vicini, quasi per caso a trascorrere una domenica nella stessa stanza. Lui viaggia perso e per quanto mi sforzi non riesco ad incontrare il suo sguardo. Vedendomi offesa dice:”E’ così che sono quando sono da solo”. Ne discutiamo molto, a tratti sembra un nuovo massacrante litigio,ma non riesco a pronunciare le uniche parole sensate, il punto da cui si dipana il mio dolore:”Ma non sei solo adesso,ci sono io qui “. Quando riparliamo di quel giorno,tempo dopo, lui lo descrive come molto noioso. E si ripete lo straccio della mia pompa vitale. Questo frammento lontano, di una vita non mia ,ritorna a farmi visita in quei giorni in cui mi desto consapevole che è troppo che mi muovo autistica, lontana da un mondo fatto anche di persone, magari dopo aver fissato a lungo un punto nel muro, persa nei miei pensieri. Improvvisamente mi chiedo che idea si farebbe qualcuno che mi stesse guardando. Dopo il livido ricordo di quel giorno, vado a caccia nel mio mondo interno, in cerca di un briciolo di noia, che non trovo, che non vedo. Ma basta immaginarmi due occhi a guardarmi, occhi estranei a fissarmi ed ecco che compare dalla bocca dello stomaco un fastidio portavoce di tedio, come se questo esistesse e prendesse forma nello spazio interpersonale tra me e l’altro, fosse fardello di una dinamica a due in cui io mi trovo serva di quegli sguardi, come se perdessi l’autonomia che mi è propria al servizio di uno standard a cui non appartengo, di un confronto che non posso reggere, di un affronto invasivo che non voglio tollerare, di un conflitto tra distanze incolmabili che è difficile vedere.
Dove allora condividere assume un significato più profondo , più inerente al suo passato latino, coniugabile nei tempi della felicità, alienato alle esperienze comuni e assumendo un connotato mistico si eleva sul singolo giorno ,diventa un obiettivo , una meta ,uno stato auspicabile, preferenzialmente da aspettare in solitudine, a braccia aperte e gambe chiuse.