sabato 1 novembre 2008

poichè la terra gira, al settimo giorno viene il ritorno

La stanza sembrava rimpicciolirsi, vedevo le porte e le finestre serrate a bloccarmi ogni via di fuga. Costretta in piccoli giorni, ripieni di interminabili attimi, ho creduto seriamente di impazzire. Chi mi conosce e mi cammina accanto lo sa. Per gli altri ero sempre la stessa, inacidita da qualche sconfitta in più, sospesa nella mia rabbia primordiale. Un vinile che continua a suonare la stessa musica,incisa nei medesimi solchi, scavata nel ripetersi degli errori. Le persone a volte non vogliono proprio vederti. Non ti riconoscono nella matrice che ti contraddistingue, ma lasciano che la tua immagine si sminuzzi e si ricomponga per assomigliare alla loro idea di te, così che al dolore dell’abbandono si deve aggiunge il vuoto della perdita.
Ho passato settimane a cercare di domare il respiro mozzato, alterato dall’ipotesi di un pianto che non è stato tale, ma si è fatto vertigine e tremore. Ho trascorso mattine distesa sul pavimento, nascosta nei pertugi della casa, tenendomi lo stomaco, ascoltando il cuore che mi batteva nelle orecchie, assaporando sulle labbra pensieri di distruzione. Ed ho pregato che tutto questo finisse, ad ogni costo, in qualunque modo.
Poi un giorno ho sentito il moto del mondo sotto le mie suole. La rotazione della terra sul suo asse ha costretto l’animale bipede in cui risiedo in affitto a riprendere il cammino. Il tempo è stato strade, mete, sospiri, si è fatto persone ed addii. Ho riempito il bicchiere fino all’orlo, rischiando anche di farlo traboccare, per non vederlo più mezzo vuoto. Ed il mio guardo che mirava lontano, si è affacciato sul cortile del qui ed ora, trovando in fine pace nel vedere i visi di chi mi stava accudendo.
Di nuovo in piedi,infilo adesso la mano nel sacchetto delle possibilità, ma prima di estrarre il prossimo numero, sposto la vista a grandangolo e sorrido in risposta agli sguardi colmi che mi fissano.